La bella recitazione di Christian Bale e Matt Damon nei panni di Ken Miles e Carroll Shelby, assieme alla possibilità di riudire in sala il celestiale rombo di due iconiche vetture della storia dell’automobilismo quali la Ford GT40 e la meravigliosa Ferrari 330 P3, sono certamente gli elementi più rilevanti di questa adrenalinica pellicola che, ci scommettiamo, sarà rimasta un po’ indigesta a tutti i fan del “cavallino”, data l’evidente prospettiva “fordista” che la ispira. La bellissima Ferrari, per stessa ammissione di Hollywood, “se fosse un concorso di bellezza avremo già un vincitore” (frase che Shelby pronuncia mentre osserva la Rossa schierarsi sulla linea di partenza), verrà poi fragorosamente sconfitta, dopo 6 successi consecutivi ottenuti sullo storico tracciato della Sarthe, dal talentuoso equipaggio che l’esigente Hery Ford II ha riunito, senza badare a spese per l’occasione.
Tutto nasce anni prima, quando il nipote del primo grande Henry prova ad acquistare, nel tentativo di dare una scossa all’ingiallita immagine della propria azienda, il marchio Ferrari. Il Drake, dobbiamo dirlo, malamente raffigurato dagli sceneggiatori, si promette a Ford ma poi vende baracca e burattini alla FIAT, azienda che gli avrebbe garantito quella libertà d’azione che gli Yankees non avrebbero mai concesso. Il resto è storia. È una corsa contro il tempo e all’ultimo milione per creare una vettura in grado di “farla pagare” in pochi mesi al Grande Vecchio. Come riuscirci? Grazie alla speciale consulenza di un “texanissimo” Matt Damon alias Carroll Shelby, ora affermato costruttore ma in grado di vincere la Le Mans da pilota, che in quattro e quattr’otto svilupperà la GT40, gravida di potenza ma altrettanto carente, sulle prime, di maneggevolezza e affidabilità. La Ford Motor Company non accetta però compromessi e dopo la sconfitta al primo tentativo nel ‘65, l’anno successivo chiede a Shelby, responsabile del progetto Le Mans, solo la vittoria. È qui che entra in gioco Christian Bale nei panni del pilota Ken Miles: uomo tutto casa e officina, dal talento sconfinato, ma anche burbero e fumantino fino all’eccesso. La sceneggiatura si sofferma a lungo sulle difficoltà che Shelby incontra per far approvare le sue scelte all’elefantiaco colosso americano. Carroll sa che se Ford vuole davvero vincere è quel burbero pilota 48enne che deve mettere a bordo della sua auto, ma l’intero management, ed in particolare l’uomo marketing Leo Babe, osteggiano aspramente “la scelta Miles”, che infatti nel 1965 non partirà per la Francia con il team. Servirà portare il “ciccione” (cosi lo apostrofa Enzo Ferrari nella pellicola) Henri Ford II sul prototipo lanciato a velocità folle per spaventare, fino alle lacrime, il grande capo e strappargli così la promessa di lasciar giudare Miles, unico in grado di controllare alla perfezione quel mostro di potenza. I consigli di Miles e Shelby funzioneranno, e la Ford avrà nel ‘66 la sua rivincita con le tre auto che, in un abile strategia di marketing, taglieranno allineate il traguardo, per la gioia di Ford e Co. Un po’ meno del povero Miles, dominatore della gara e che per un inghippo regolamentare e le stravaganti richieste dei suoi capi, dovrà rinunciare al primo posto, accontentandosi della piazza d’onore. Tralasciando le scene alla Michael Vaillant in cui i piloti si fissano negli occhi, cambiano marcia e affondano sul pedale del gas durante un sorpasso o la fastidiosa e stereotipata, quando addirittura carnascialesca, raffigurazione di praticamente tutti i personaggi italiani che compaiono nella pellicola, dobbiamo rammentarci che siamo di fronte non ad un documentario ma ad un film, un ottimo film, pensato per il grande pubblico ed in cui dunque certi ricami nella trama o piccole inesattezze storiche sono concesse e tollerabili. La pellicola diretta da James Mangold ha il merito, proprio come Rush di Ron Howard, di portare una grande pagina dell’automobilismo sportivo alla conoscenza di una vasta audience e non solo degli appassionati del Motorsport. Questa opera che a tal proposito può essere dunque definita di “sensibilizzazione” non può dunque e non deve, pur con tutti i suoi limiti, essere rigettata dai puristi. Per chi poi proprio non riesce a digerire la versione Hollywoodiana della vicenda, c’è la storia quella vera ed altrettanto romantica e che noi abbiamo riassunto in due episodi (Parte 1, Parte 2). Per chi poi non sazio vorrebbe ancora approfondire la vicenda, consiglio di non perdersi il meraviglioso documentario del 2016, The 24 Hour War Ferrari vs Ford.
Andrea Schinoppi
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