Venti anni fa Eddie Irvine sfiorò il titolo iridato con la Ferrari all’ultima gara del mondiale di Formula 1 dopo una stagione ricca di sorprese e colpi di scena.
Si corre in Giappone il 31 ottobre 1999 e il ferrarista è in testa alla classifica con quattro punti di vantaggio sul rivale Mika Hakkinen della McLaren. Le note della celebre “Once Upon a Time in the West” dello spot della Tic Tac, con il pilota irlandese al volante della Ferrari F399, risuonano durante gli stacchi pubblicitari facendo sognare i tifosi della “rossa” pronti a esultare all’alba con un tripudio di bandiere al vento.
Intanto, giorni prima in casa Ferrari si vocifera che Eddie Irvine sarebbe stato portato in trionfo da Michael Schumacher – un copione che sembra già scritto, come è accaduto due settimane prima a Sepang in occasione del Gp della Malesia quando il campione tedesco dopo aver ottenuto la pole position, durante la gara lascia strada al compagno di squadra che taglia il traguardo vittorioso per la quarta volta in quella stagione.
Ma qualcosa suona storto e non è certamente nel leitmotiv di Ennio Morricone; non sono neppure i 10 mm in meno dei deflettori laterali montati sulle monoposto delle Ferrari, giudicati irregolari dai commissari della FIA dopo il risultato del Gp di Malesia. In quella circostanza, i 16 punti conquistati in pista con una esemplare doppietta furono tolti alle verifiche e poi restituiti in tribunale.
Ma allora Eddie, come mai non sei riuscito a vincere quel mondiale?
In molti se lo domandano ancora oggi. Lui che, ingaggiato dalla scuderia di Maranello nel 1996 con un contratto capestro di seconda guida, mai avrebbe immaginato di diventare protagonista in quella stagione. Certamente non poteva reggere il confronto con il compagno Schumacher, per talento, carisma, e per il business che girava attorno al pilota tedesco. È sempre stato un gregario ligio, a volte estroso, fino a quel 11 luglio 1999 quando al Gp di Silverstone in Inghilterra Schumacher prende la tangente al via della corsa e va a sbattere contro le protezioni fratturandosi la gamba. Il quel tormentato weekend Eddie Irvine si scrolla di dosso il peso Schumacher e diventa primo pilota. Improvvisamente si vede calamitare su di sé tutte (o quasi) le attenzioni della gente, dei media dei tifosi che lo avrebbero incoraggiato e sostenuto fino alla fine: da quel momento il team e la dirigenza della Ferrari sembravano decisi a puntare proprio su di lui per la conquista del mondiale.
Ma doveva essere proprio Eddie il prescelto a riportare il titolo in casa Maranello dopo venti anni di digiuno?
Certo che no, o forse sì, ma che figura ci avrebbe fatto Schumacher che da quattro anni ripetutamente falliva l’appuntamento con il titolo iridato, complice anche una vettura non propriamente all’altezza? per non parlare poi delle ripercussioni in termini di immagine quando di mezzo ci sono contratti di sponsorizzazione con cifre da capogiro, e quando si fa riferimento agli investimenti fatti in Ferrari per lo sviluppo della vettura costruita attorno a lui.
Insomma, troppi interessi contrastanti di natura extra sportiva. Una situazione ambigua, dove si avverte la sensazione che la vittoria tanto attesa avrebbe generato malumori ovunque, o meglio avrebbe scombussolato i dettami della Ferrari stessa. Un paradosso colossale.
Il mistero della ruota
Irvine apre la stagione di Formula 1 a Melbourne il 7 marzo 1999, con un’inaspettata vittoria, la prima in carriera e con la Ferrari; macina punti di gara in gara, e anche se non esalta mai in pista, come una formica operaia e con un pò di scaltrezza si sarebbe ritrovato ben presto a lottare per il titolo grazie anche alle vittorie conseguite in Austria e in Germania.
A tre gran premi dalla conclusione del mondiale, contro ogni previsione è in testa alla classifica, appaiato a quota 60 punti insieme al rivale Mika Hakkinen. Vietato sbagliare. Il 26 settembre 1999 si corre al Nurburgring in Germania per il Gran Premio D’Europa.
Quello che succede al 21esimo giro in gara è a dir poco surreale e lascia presagire un finale decisamente indigesto. Al rientro ai box, per il cambio gomme Eddie Irvine rimane fermo per lunghi 28 secondi; la ruota posteriore destra non è pervenuta e viene montata in ritardo. Un mistero mai chiarito. Il pilota irlandese perde un’occasione d’oro finendo settimo, mentre Hakkinen incamera 2 punti preziosi che sarebbero risultati determinanti per la conquista del mondiale. Tutto chiaro, e i conti tornano analizzando la classifica a posteriori quando cala il sipario in Giappone.
Ma è stata una distrazione dei meccanici o si pensa al tradimento? la verità non si saprà mai. Quello che certo è che a conclusione di quel mondiale, chi esce vincitore è comunque e in ogni caso lui, Michael Schumacher, che ancora claudicante al suo rientro in Malesia ha dimostrato di essere il migliore, fissando pole e giro veloce in gara in un circuito nuovo per tutti e cominciava, preponderante, a tessere quella favola di dominio assoluto che sarebbe arrivata negli anni a seguire.
Quello che resta invece, a distanza di venti anni, è il profondo rammarico del popolo ferrarista e l’immagine di quel ragazzo irlandese, crucciato, con gli occhi lucidi sul terzo gradino del podio in quel fatidico giorno a Suzuka, dietro a Schumacher per l’appunto, e Hakkinen che vincendo si laurea campione del mondo per il secondo anno consecutivo.
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